Dopo
Vauro, dopo d’Eramo, anche Rossana Rossanda se ne va. La rottamazione
dei padri è più veloce di quella del giornale: anche se in un editoriale
la direttrice vuole accreditare un rapporto di causa effetto per i due
processi, per convincere la sparuta redazione e i circoli sempre meno
convinti della bontà dell’indirizzo politico, che le defezioni siano
dettate da disamore, da disaffezione e da disincanto della vecchia
guardia verso quel progetto nato nel 1968 di quel quotidiano comunista
libertario del quale oggi avremmo tutti un gran bisogno.
Con
una spericolata faccia di tolla scrive la Rangeri con lingua biforcuta;
il tempo del confronto non è scaduto. Se abbiamo discusso poco sul
domani del giornale, sul prodotto che facciamo, discutiamone ancora,
impegniamoci ancora di più, nei prossimi giorni e settimane che restano.
Lasciando intendere qualche miserabile retroscena di protagonismi, di
malintesi familiari, di quelli che si possono risolvere con qualche
contentino alla vecchia zia bisbetica.
Come ha scritto Marco d’Eramo in risposta alle due righe sprezzanti con le quali è stato frettolosamente liquidato, collocazione e tono della risposta della direzione sono la miglior motivazione della sua decisione di andarsene. Sono cose che succedono di questi tempi: decenni di critica televisiva, un orizzonte mediato dalle telecamere di Vespa, di La Rosa, ma pure di Santoro o Fazio, non possono non produrre qualche danno, anche in vocati alle direzioni. Come la ruota della fortuna per Renzi, favoriscono il primato della visibilità sulla reputazione, la soddisfazione dell’ego sull’affermazione di principi comuni.
Come ha scritto Marco d’Eramo in risposta alle due righe sprezzanti con le quali è stato frettolosamente liquidato, collocazione e tono della risposta della direzione sono la miglior motivazione della sua decisione di andarsene. Sono cose che succedono di questi tempi: decenni di critica televisiva, un orizzonte mediato dalle telecamere di Vespa, di La Rosa, ma pure di Santoro o Fazio, non possono non produrre qualche danno, anche in vocati alle direzioni. Come la ruota della fortuna per Renzi, favoriscono il primato della visibilità sulla reputazione, la soddisfazione dell’ego sull’affermazione di principi comuni.
Ci
sono momenti quali mi auguro che pochi superstiti grandi vecchi, non
tutti per carità, qualche intelligenza luminosa ancorché ottuagenaria,
rottami la mia generazione, che è quella più intrisa di un malinteso
pragmatismo, che l’ha inibita dal sogno e dall’utopia, e di un realismo
peloso che ha intercettato la speranza, e l’azione, di poter disegnare
un’alternativa all’implacabile ineluttabilità del mercato. Proprio come
gli irriducibili tronisti, come gli immarcescibili in parlamento, anche
quelli che, come diceva Rossanda, attraverso un giornale, avrebbero
dovuto fare il socialismo e la critica al socialismo, si sono accomodati
nelle loro nicchie, cucce poco pagate certo, ma gratificanti perché in
fondo non è così rischiosa e nemmeno poi troppo faticosa l’esistenza in
vita sul trespolo dell’obiezione, del biasimo e della censura, meglio
ancora se si è intrapresa la via della prudente e ragionevole
osservazione dei fenomeni.
A
forza di stare dalla parte del torto, il torto ce l’hanno. È intanto
quello di non volersi accorgere che scelte professionali conservatrici,
sono il segnale d’allarme di un adeguamento a inclinazioni politiche
altrettanto moderate. La ragazza del secolo scorso che se ne va, rivela
simbolicamente e spavaldamente che la loro arcaica sopravvivenza
cartacea, la convinzione che esistono davvero solo se sono in edicola -
come denunciava qualche giorno fa un’involontariamente comica cronaca su
una giornata senza Internet in redazione – fanno il paio con l’idea che
si debba praticare l’entrismo nel sistema, che sia plausibile e anzi
desiderabile qualche compromesso con il sistema per garantirsi il pane
quotidiano e la colonna sonora delle rotative.
Rossanda
decide per i blog, per la rete, per il web, a malincuore, perché le
rughe e gli anni non attrezzano mai abbastanza alla sopportazione delle
delusioni. Ma guardare avanti camminando a fianco degli altri è quello
che dovrebbe fare chi si ispira alla guida e alla luce di certe stelle
polari irrinunciabili, quelle della sinistra, comunista e libertaria. È
una piccola forma di resistenza al potere economico che strangola le
voci libere, al solito ricatto che si declina ormai in tutte le sfere
sociali, facendo del bisogno l’arma per piegare, impoverire di diritti,
ridurre al silenzio.
Forse la fortuna di Rossanda, come di Morin, come di qualche giunco pensante che non si piega anche qui da noi al vento del maelström è proprio di essere vecchi, di vivere quella metamorfosi sacra che rende invulnerabili, anche alla piccola paura che non resti impronta di sé sulla carta di un giornale, ché sono altre le tracce che dovremmo lasciare.
Forse la fortuna di Rossanda, come di Morin, come di qualche giunco pensante che non si piega anche qui da noi al vento del maelström è proprio di essere vecchi, di vivere quella metamorfosi sacra che rende invulnerabili, anche alla piccola paura che non resti impronta di sé sulla carta di un giornale, ché sono altre le tracce che dovremmo lasciare.
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