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martedì 26 marzo 2019

Il libro nero della Lega


TUTTI I CONTI CHE NON TORNANO DELLA LEGA


Dai 49 milioni di euro sequestrati dalla magistratura ai rapporti con la Russia di Vladimir Putin, dalla svolta sovranista all’espansione al Sud, intervista al giornalista Stefano Vergine, autore con Giovanni Tizian de "Il libro nero della Lega"
TUTTI I CONTI CHE NON TORNANO DELLA LEGA
I 49 milioni di euro di rimborsi elettorali sottratti allo Stato e sequestrati con sentenza definitiva dalla magistratura sono il punto di partenza. Ma c’è molto altro: la metamorfosi da partito nordista che gridava “Roma ladrona” a quello nazionalista e sovranista di oggi. I rapporti con la Russia di Vladimir Putin. I ritratti di alcuni uomini vicini al leader attuale, da Gianluca Savoini, plenipotenziario che cura i rapporti con Mosca, a Luca Morisi, artefice del successo social di Salvini.

Ne Il libro nero della Lega (Laterza) i giornalisti Stefano Vergine e Giovanni Tizian attraverso rivelazioni documentate, carte della magistratura e l’analisi di conti correnti e bilanci, compiono un viaggio nella “nuova” Lega che ora è al governo del Paese e secondo i sondaggi è il primo partito italiano. Ne abbiamo parlato con uno dei due autori, Stefano Vergine.

Che fine hanno fatto quei 49 milioni di euro sequestrati al partito?

«Molti di questi sono spariti senza un'apparente spiegazione. Dei 48,9 milioni finiti sotto sequestro – sequestro confermato dalla Cassazione nel novembre dell'anno scorso – la Guardia di finanza di Genova ne ha trovati poco più di 3. Gli altri, secondo la Lega, sono stati spesi per attività politica. I bilanci della Lega stessa raccontano però una storia molto diversa. Tra il 2011 e il 2017 il partito ha infatti bruciato un attivo di quasi 40 milioni di euro. Non è colpa del costo del lavoro. Quella voce di spesa è addirittura calata, visto che i dipendenti nello stesso periodo sono passati da 80 a soli 7. Di certo, prima Maroni e poi Salvini hanno usato parte di quei soldi. In particolare Salvini, che dice di non aver mai visto un solo euro di quei 49 milioni, li ha usati quando sapeva che la magistratura li avrebbe potuti sequestrare. Lo dimostrano i documenti che pubblichiamo nel libro».

E allora come sono stati spesi tutti quei soldi?

«I rendiconti del partito si limitano a dire che buona parte di questo denaro è finito in “contributi ad associazioni” e “oneri diversi di gestione”. Solo tra il 2012 e il 2015 sono evaporati così oltre 31 milioni di euro, di cui un quarto finito ad associazioni non meglio specificate. Maroni e Salvini non hanno mai spiegato i dettagli di quelle operazioni finanziarie. Né hanno mai reso pubblici i nomi delle organizzazioni che hanno beneficiato di quel denaro. Ad ogni modo, il risultato finale è che dei 49 milioni che dovrebbero tornare allo Stato italiano – perché sono soldi dei contribuenti ottenuti con i rimborsi elettorali – ne sono stati trovati solo 3. E qualche mese fa la Procura di Genova ha concesso alla Lega di Salvini di restituirli a rate in quasi 80 anni».

Perché, da un lato, la nuova Lega di Salvini accusava Bossi e l’ex tesoriere Belsito di essere responsabili di tutto e poi, una volta divenuto segretario, Salvini non si è costituito parte civile contro Bossi e Belsito?

«Su questo Salvini nel 2014 aveva detto: “Non possiamo spendere soldi e perdere tempo in cause che durano anni”. Evidentemente non aveva fatto bene i calcoli: per risparmiare qualche migliaio di euro in spese legali, ora il suo partito si ritrova sulle spalle un debito da 48,9 milioni di euro. È il contrario di quello che ha fatto la Margherita di Rutelli, che si è costituita parte civile contro l’allora tesoriere Lusi per una vicenda simile. C'è da dire che nel frattempo Salvini ha creato un nuovo partito, Lega per Salvini premier, una specie di new company con cui ha iniziato a incassare i contributi pubblici del 2 per mille. Ad ogni modo, il significato politico della scelta è chiaro: Salvini ha voluto salvare Bossi, non costituendosi parte civile, per non perdere i voti del Nord di chi crede ancora al fondatore, voti che sarebbero potuti andare a qualche altra formazione politica come il Grande Nord, contenitore che i bossiani avevano già preparato alla vigilia delle elezioni dello scorso 4 marzo».

Com’è maturata la svolta sovranista di Salvini e quali sono i motivi?

«La svolta è maturata molto rapidamente. Su YouTube c'è ancora un video del 2009 in cui a un raduno della Lega Salvini cantava: “Senti che puzza, scappano anche i cani, stanno arrivando i napoletani”. Stando al Parlamento europeo, sebbene spesso assente, Salvini evidentemente ha capito prima di altri che le cose stavano cambiando, ha percepito in anticipo i nuovi umori della gente, le loro paure e i loro bisogni. Così l’insofferenza dei leghisti è stata reindirizzata, spostata da Roma a Bruxelles, dal centralismo burocratico italiano a quello dell’Unione, dai meridionali ai migranti. La trasformazione politica della Lega è avvenuta proprio mentre l’Ue si dimostrava incapace di risolvere con umanità la crisi economica della Grecia, presto propagatasi agli altri Stati finanziariamente deboli fra cui l’Italia. Negli stessi anni, le cosiddette primavere arabe mandavano in frantumi gli equilibri che per decenni avevano retto il Nord Africa e il Medio Oriente, portando a un aumento sostanziale delle migrazioni verso l'Europa. Il boom dei social network, che Salvini è stato bravissimo a usare grazie all'aiuto di Luca Morisi, ha fatto il resto».

La simpatia della Lega attuale verso la Russia di Putin è solo di natura politica e ideologica o c’è dell’altro?

«C'è decisamente dell'altro. Nel libro abbiamo documentato una trattativa, durata almeno dal luglio all'ottobre scorso, per finanziare la Lega con soldi russi in vista delle prossime elezioni europee di maggio. Il tutto con la promessa di un avvicinamento dell'Italia a Mosca e un contemporaneo allontanamento da Bruxelles e da Washington. Non lo dico io: sono parole di Gianluca Savoini, l'uomo che – per sua stessa ammissione - gestisce i rapporti di Salvini con Mosca. In sostanza Savoini ha negoziato con alcuni russi molto vicini a Putin un aiuto milionario per la Lega. Un aiuto mascherato attraverso una compravendita di gasolio: 3 milioni di tonnellate metriche, vendute dalla russa Rosneft all'italiana Eni attraverso una banca europea non meglio specificata. Il tutto con uno sconto del 4 per cento sul prezzo di mercato del diesel. Sconto del quale, alla fine, avrebbe dovuto beneficiare la Lega. Questo è quanto Savoini ha discusso con i suoi interlocutori russi il 18 ottobre dell'anno scorso nella hall dell'Hotel Metropol, a Mosca. Noi eravamo lì, abbiamo visto e sentito. Non abbiamo scritto altro perché solo di questo abbiamo prove certe. Di sicuro, indipendentemente dal fatto che la trattativa sia andata a buon fine o meno, un importante rappresentante della Lega ha negoziato un finanziamento milionario con un Paese straniero, e questo è in totale contraddizione con la narrazione nazionalista, sovranista di Salvini».

Chi è Aleksey Komov e perché ha un ruolo di primo piano nella svolta filorussa di Salvini?

«Komov è da diversi anni il rappresentante russo del World Congress of Families, l'organizzazione protagonista dell'evento che si svolgerà tra pochi giorni a Verona. Inoltre Komov lavora alla San Basilio, la fondazione creata da Konstantin Malofeev. Malofeev è uno degli oligarchi più vicini a Putin, sostenitore delle necessità del ritorno dello zar, convinto che l'Islam invaderà l'Europa attraverso le migrazioni e che per questo noi europei dovremmo chiudere le frontiere e allearci con Mosca. Komov era presente il 15 dicembre del 2013, a Torino, durante la proclamazione di Salvini a segretario della Lega. È stato il primo segnale della svolta filorussa di Salvini».

Per diventare un partito nazionale Salvini ha tolto la parola “Nord” dal simbolo del partito ed è sbarcato al Sud con queste parole: “Non siamo un raccoglitore di riciclati, ma vogliamo spalancare le porte ai nuovi. Al Sud c’è voglia di cambiamento”. È andata così?

«Non proprio. Al Sud Salvini ha imbarcato riciclati di ogni genere: ex missini, politici che hanno militato per anni nella Democrazia Cristiana. E poi ci sono i nuovi leghisti del Sud che sono entrati in contatto con il potere mafioso: chi per ragioni familiari, chi per questioni di affari. C'è ad esempio un dirigente provinciale della Lega che ha creato più di una società con esponenti di spicco della 'ndrangheta. Questo è avvenuto in Calabria, la regione in cui Salvini – che è ministro dell'Interno e non dovrebbe avere problemi a verificare i profili dei suoi dirigenti - si è fatto eleggere senatore. I casi sono parecchi, li raccontiamo nel dettaglio nel libro, ma di certo Salvini non ha mantenuto la promessa di portare una ventata di novità al Sud. Anzi: la sensazione è per prendere voti, e prenderli in fretta, si sia affidato ai soliti noti. 
Non proprio il massimo per chi rappresenta il “governo del cambiamento”».





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