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martedì 29 maggio 2018

Ecco Perchè Mattarella NON Vuole Paolo Savona

Paolo Savona

 Stop Euro


PAOLO SAVONA:
 “L’ITALIA DEVE ESSERE PREPARATA AD ABBANDONARE L’EURO”

Paolo Savona, economista in corsa per il ruolo di ministro dell’Economia nel governo M5s-Lega, ribadisce in un libro di prossima uscita le sue perplessità sull’unione monetaria europea e sottolinea che l’Italia deve essere preparata ad abbandonare l’euro.

“Non ho mai chiesto di uscire dall’euro, ma di essere preparati a farlo se, per una qualsiasi ragione, fossimo costretti volenti o nolenti”, scrive Savona nel saggio ‘Come un incubo e come un sogno’, edito da Rubbettino.

“Ritengo che uscire dall’euro comporti difficoltà altrettanto gravi di quelle che abbiamo sperimentato e sperimenteremo per restare”, dice l’economista.

Savona scrive nel saggio che le autorità italiane hanno il dovere di approntare e attuare due diversi piani, “quello necessario per restare nell’Ue e nell’euro e quello per uscire se gli accordi non cambiano e i danni crescono”.

“Invece si insiste nella loro inutilità essendo l’euro irreversibile e si è disposti a pagare qualsiasi costo pur di stare nell’eurosistema”.

L’economista teme che l’Italia possa infilarsi “in un vicolo cieco” e di dover “consegnare la sovranità fiscale alla ‘triade’ (Fmi-Bce-Commissione) se le cose peggiorano, infilandoci nella soluzione greca”.

Lettera Aperta di Paolo Savona a Sergio Mattarella
NO A CESSIONI SOVRANITA’
Caro Presidente,
per il rispetto che porto all’istituzione che presiede e a Lei personalmente, è con molta ansia che Le indirizzo questa lettera aperta riguardante una scelta che considero fondamentale per il futuro dell’Italia: la cessione della sovranità fiscale per far funzionare la...


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giovedì 10 maggio 2018

Bettino Craxi : Tangenti per Miliardi a Domicilio


 Ecco perché fu condannato

Il ministro degli Esteri Angelino Alfano è volato ad Hammamet per ricordare il diciassettesimo anniversario della morte di Bettino Craxi. Il ministro della giustizia Andrea Orlando si dice favorevole a “riaprire la discussione” sulla una “figura importante della sinistra”, pur ammettendone “gli errori”. E il sindaco di Milano Giuseppe Sala, eletto nel centrosinistra, apre alla possibilità di intitolargli una via, che potrebbe essere discussa già lunedì 23 gennaio in consiglio comunale. Proprio mentre si susseguono inchieste e processi per piccole e grandi corruzioni, mentre il numero uno dell’autorità anti-tangenti Raffaele Cantone gira l’Italia per esortare una “rivoluzione culturale” contro il malaffare, mentre si moltiplicano gli studi e i rapporti internazionali su danni e distorsioni inflitti al sistema economico e politico, si allarga la schiera di chi persegue la riabilitazione del segretario del Partito socialista italiano morto da latitante in Tunisia il 19 gennaio 2000.

In quel momento, uno dei politici simbolo della prima repubblica aveva collezionato due condanne definitive per 10 anni di reclusione (5 anni e 6 mesi per la corruzione dell’Eni-Sai e 4 anni e 6 mesi per i finanziamenti illeciti della Metropolitana milanese), più altre condanne provvisorie, in primo e in secondo grado, per circa quindici anni (3 anni in appello per Enimont, 5 anni e 5 mesi in Tribunale per Enel, 5 anni e 9 mesi annullati con rinvio dalla Cassazione per la bancarotta del Conto protezione); e poi due assoluzioni (Cariplo e, a Roma, Intermetro) e una prescrizione (in appello per All Iberian). Non basta. L’allora segretario del Psi e già presidente del consiglio aveva ricevuto tre ordinanze di custodia cautelare, i cui procedimenti al momento della morte non erano stati definiti: Enel, fondi neri Eni e fondi neri Montedison.

Ho raccolto 7-8 miliardi di tangenti sulla Metropolitana e in buona parte 
sono finiti personalmente a Craxi
In questa corsa alla riabilitazione, è utile ricordare i fatti specifici contestati allora a Craxi dai pm di Mani pulite e poi confermati in via definitiva in Cassazione. Sul fronte dei finanziamenti illeciti della Metropolitana milanese, ecco la ricostruzione della vicenda attraverso le parole di Silvano Larini, architetto e reo confesso collettore di mazzette per conto del segretario Psi, che il 7 febbraio 1993 mette fine alla sua latitanza e si consegna alle autorità italiane, 
diventando così un pilastro dell’accusa al leader Psi.

Quello che segue è un estratto del libro Mani pulite, 
la vera storia, di Gianni Barbacetto, 
Peter Gomez e Marco Travaglio (Editori riuniti 2002).

BETTINO CRAXI, LE TANGENTI MM E LE VALIGETTE DI SOLDI IN PIAZZA DUOMO

Il 7 febbraio, accompagnato dall’avvocato Bovio, Larini si consegna a Di Pietro, che con il capitano Zuliani lo aspetta alla frontiera autostradale di Ventimiglia. Dopo uno spuntino in un ristorante-pizzeria, viene accompagnato a Milano, nel carcere di Opera. Vi trascorrerà quattro giorni, riempiendo decine di pagine di verbali. L’architetto ammette le sue responsabilità. E racconta il suo ruolo di «fattorino delle tangenti» che sgorgavano dal sistema della metropolitana milanese:

Dovevo ricevere il denaro che Carnevale o Prada mi consegnavano e portarlo all’onorevole Craxi. Infatti, a partire dal 1987 e fino alla primavera del 1991, ho avuto modo di ricevere dai predetti 7 o 8 miliardi complessivamente e ogni volta (salvo in un paio d’occasioni in cui li ho consegnati direttamente a Natali) li ho portati negli uffici dell’onorevole Craxi di piazza Duomo 19, a Milano, depositandoli nella stanza a fianco della sua […]. Posavo la borsa o il plico sul tavolo e la Enza [Tomaselli, la segretaria di Craxi] lo ritirava. Non le ho mai detto nulla, alla consegna, perché era assolutamente scontato di che cosa si trattasse […]. Ho raccolto 7-8 miliardi di tangenti sulla Metropolitana e in buona parte sono finiti personalmente a Craxi. Portavo i soldi al quarto piano di piazza Duomo 19. Ero io a confezionare il pacchetto, utilizzando buste marroncine. A volta le posavo sul tavolo della segretaria, a volte le lasciavo sul tavolo della camera di riposo di Bettino.

Natali mi disse che da tempo le imprese operanti nella metropolitana 
erano solite versare del denaro al sistema dei partiti
Fino al 1987 – ricorda – al finanziamento occulto pensava direttamente il presidente della Metropolitana milanese, Antonio Natali. Poi si pose il problema di sostituirlo. «Motivi di opportunità – spiega Larini ai magistrati – sconsigliavano al Psi di riproporlo, in quanto egli era stato inquisito dall’autorità giudiziaria di Milano per fatti di concussione. Natali fu eletto senatore e in tal modo fu “salvato” da un procedimento penale». Craxi e Natali offrirono a Larini la carica di presidente
della Mm, che però rifiutò. «La scelta cadde allora su Claudio Dini», l’architetto che aveva lavorato nello studio di Ignazio Gardella, ma che, a quanto racconta Larini, 
non era considerato affidabile per la gestione delle tangenti:

Natali non aveva molta confidenza con lui e lo considerava un po’ bizzarro e pericoloso per il sistema, dal punto di vista di riscossione del denaro. Mi spiego. Natali mi disse che da tempo le imprese operanti nella metropolitana erano solite versare del denaro al sistema dei partiti e in particolare alla Dc, al Psi, al Pri, al Pci e al Psdi. Questo denaro veniva utilizzato in quegli anni dal Psi per il sostentamento della federazione milanese, ma anche per la cassa nazionale del Psi, all’occorrenza. Infatti ricordo che Balzamo in un’occasione mi diede atto che era a lui pervenuta una parte del denaro proveniente dalle contribuzioni degli imprenditori milanesi, dicendomi: «Meno male che sono arrivati i soldi di Milano, perché altrimenti non potevamo pagare gli stipendi».

Ero al corrente della natura non regolare dei finanziamenti al mio partito. L’ho cominciato a capire da quando portavo i pantaloni alla zuava!
Cosí Natali chiese che fosse Larini a occuparsi delle tangenti, al posto del «bizzarro» Dini: «Mi pregò di essere io la persona che riceveva per conto del Psi il denaro proveniente dalle imprese operanti negli appalti della Mm. Natali mi spiegò che alla materiale raccolta del denaro nei confronti degli imprenditori provvedevano Prada Maurizio [Dc] e Carnevale Mijno Luigi [Pci]». 
Ricevuto l’incarico da Natali, 
Larini si rivolse direttamente all’amico segretario del Psi:

Chiesi informazioni all’onorevole Bettino Craxi su come comportarmi e costui mi disse: «Va bene, occupatene». In altri termini, fu lo stesso Craxi a confermarmi l’incarico di provvedere a raccogliere il denaro proveniente dalla Mm. […] Tutto ciò che prendevo lo portavo sempre nell’ufficio dell’onorevole Craxi e non trattenevo nulla per me. Era un servizio che io rendevo a Craxi per amicizia e per comune militanza politica.

Non tutti, fa capire Larini, erano cosí disinteressati e corretti, e comunque sul giro delle tangenti aleggiava sempre il sospetto che qualcuno ne approfittasse:

Un giorno fui chiamato da Craxi il quale mi disse che Balzamo gli aveva fatto presente che l’onorevole Citaristi, segretario amministrativo della Dc, aveva disposto un’indagine interna nei confronti di Prada, perché sospettava che non tutto il denaro finisse nelle casse della Dc. Anche l’onorevole Craxi, verso la fine del 1989-inizio 1990, mi disse che pure lui aveva saputo che in giro si diceva che le imprese pagavano il 20 per cento del valore degli appalti, e che quindi io venivo «imbrogliato» da Prada e Carnevale. Io spiegai che era impossibile che le imprese pagassero una percentuale del genere, perché si sarebbero poste del tutto fuori mercato […]. In tale occasione pregai l’onorevole Craxi di sollevarmi da un incarico così scomodo; egli mi disse: «Va bene». E, seppure con un anno di ritardo, alla fine mi sostituì con l’onorevole Oreste Lodigiani [cioè con il segretario amministrativo milanese del Psi].

Dopo la morte di Balzamo, venne fuori questo foglietto. 
In quattro anni ha raccolto qualcosa come 186 miliardi”
Larini, dunque, svela anche una parte dei veleni che intossicano i circuiti sotterranei di Tangentopoli: poiché la raccolta era illegale, sui «cassieri» non era possibile alcuna forma di controllo legale. Cosí tra i protagonisti del sistema regnavano la sfiducia e il sospetto che qualcuno approfittasse della situazione, facendo la «cresta» per sé. Cosa che, in diversi casi, è stata anche giudiziariamente accertata. […]

Quello stesso 17 dicembre [1993, al processo contro Sergio Cusani per la maxitangente Enimont], subito dopo Forlani, tocca anche a Bettino Craxi. Ma il suo interrogatorio è tutto un altro film. Un Di Pietro insolitamente calmo e remissivo gli pone la fatidica domanda, se fosse al corrente del finanziamento illegale ai partiti. Craxi si concede una delle sue lunghe pause. Poi spiega: «Né la Montedison, né il gruppo Ferruzzi, né il dottor Sama, né altri, né direttamente, né per interposta persona, a me personalmente hanno mai dato una lira. Diversamente, sia il gruppo Ferruzzi, sia la Montedison hanno versato contributi all’amministrazione del partito: da quando, non saprei, ma certamente da molti anni e fino alle elezioni del 1992». Poi, però, ecco una confessione in piena regola: «Ero comunque al corrente della natura non regolare dei finanziamenti ai partiti e al mio partito. L’ho cominciato a capire da quando portavo i pantaloni alla zuava!».

Di Pietro sorride, raggiante: «C’è qualcuno che, prima di lei, questa mattina, l’ha saputo solo qualche giorno fa». Una piccola rivincita su Forlani. Craxi non solo ammette, ma consegna anche dei documenti. E a un certo punto, con calcolata suspence, estrae di tasca un bigliettino e sibila: «Dopo la morte di Vincenzo Balzamo, venne fuori questo foglietto scritto a mano, in cui lui aveva fatto un appunto che si riferiva a un quinquennio, con le entrate provenienti da società ed enti. Lui scrive che in quattro anni ha raccolto qualcosa come 186 miliardi. Circa 50 miliardi all’anno». Ovviamente non registrati, quindi fuorilegge. Ecco perché Di Pietro è cosí pacato. Ecco perché non incalza: Craxi, con la sua brutale franchezza, si è messo in trappola da solo. Migliore conferma alle accuse non ci poteva essere. Chi si aspettava uno scontro al calor bianco rimane deluso. […]

Craxi, in seguito, fuori da un’aula di giustizia, racconterà a Bruno Vespa (nel libro Il duello) che per fare politica poteva contare sugli aiuti di tanti amici. «Nel senso che venivano da te e ti chiedevano di quanto avevi bisogno?», gli domanda Vespa. «Ci mancherebbe altro – risponde Craxi. – Non si permettevano. Facevano la fila come si fa dal dentista. Passavano dalla segretaria…».

Tratto da Mani pulite, la vera storia, di Gianni Barbacetto, 
Peter Gomez e Marco Travaglio (Editori riuniti 2002)

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martedì 8 maggio 2018

È morto Ermanno Olmi



Addio al visionario, imprevedibile regista del nostro cinema

L'autore aveva 86 anni, da alcuni giorni era ricoverato ad Asiago, in provincia di Vicenza. Il suo capolavoro rimane 'L'albero degli zoccoli'. Una lunga carriera segnata da titoli dolenti e toccanti come 'Il mestiere delle armi' e 'Torneranno i prati'.

È morto, all'età di 86 anni, il regista Ermanno Olmi. Era ricoverato da alcuni giorni all'ospedale di Asiago. Il grande regista bergamasco, autore di film bellissimi e amatissimi, se n’è andato avendo accanto la moglie e i figli. I funerali, come desiderava e in linea con una vita piena di affetti e amicizie ma riservata, si svolgeranno in forma strettamente privata.
Ermanno Olmi, i film veristi che raccontarono l'Italia rurale


L'uccisione del maiale
L'albero degli zoccoli (1978) di Ermanno Olmi
Se dovessimo sintetizzare in un solo aggettivo il grande cinema di Ermanno Olmi sceglieremmo 'imprevedibile'. All'inizio della sua fama (erano gli anni Sessanta), per film come Il tempo si è fermato, Il posto, I fidanzati gli fu applicata l'etichetta di cantore della gente comune, delle piccole cose: definizione non immotivata e anche apprezzabile, in un panorama cinematografico omogeneo e poco permeabile, dopo la fine del neorealismo, alla rappresentazione del quotidiano.




Nei decenni successivi, però, la tavolozza di Olmi si è ampliata fino a includere i toni e i generi più differenti: dal racconto storico all'allegoria, a varie declinazioni della fiaba. In origine il regista bergamasco, classe 1931, fece le sue esperienze nel documentario, curando il servizio cinematografico della Edisonvolta per la quale realizzò decine di titoli: tra i più noti La diga sul ghiacciaio, Tre fili fino a Milano, Un metro è lungo cinque. Si tratta sì di testimonianze dell'attività della società elettrica, come negli auspici dell'azienda committente, però già piene di attenzione per gli sforzi e l'operosità della gente che vi lavora.




Degli anni Cinquanta sono anche alcuni 'corti' a soggetto, come Manon finestra 2 e Grigio (col testo di Pier Paolo Pasolini). Il 1959 è l'anno del primo lungometraggio, Il tempo si è fermato, destinato in origine a essere un documentario e che viene presentato alla Mostra di Venezia. Ancora a Venezia, due anni dopo, Olmi porta Il posto, delicata storia di due giovani al primo impiego in un'azienda milanese ai tempi del cosiddetto boom economico. Segue I fidanzati, ambientato nel milieu operario ma dove si affacciano già preoccupazioni per la crisi dei sentimenti.




Con E venne un uomo (1965), biografia di papa Giovanni XXIII, il regista dà spazio al proprio sentire religioso, però in forma sempre terrena ed eminentemente umana. Dopo alcuni film variamente risolti, già più tinti di metafora (Un certo giorno, Durante l'estate, La circostanza), realizza quello che resta con ogni probabilità il suo capolavoro: L'albero degli zoccoli, fiaba contadina che a Cannes vince una Palma d'Oro di straordinario significato per un film parlato in dialetto bergamasco, recitato da attori non professionisti, tutto affidato all'espressività di gesti atavici.




Circondato da una fama internazionale, Olmi si trasferisce ad Asiago, in provincia di Vicenza, e nel 1982, a Bassano del Grappa, dà vita a Ipotesi Cinema, "bottega del cinema" che collaborerà con la Rai di Paolo Valmarana e sfornerà nuovi registi. Tra questi Roberta Torre che ricorda il Maestro, grande incantatore.




Colpito da una malattia invalidante, e da conseguente depressione, il regista resta lontano dal set per un lungo periodo. Vi torna nella seconda metà degli anni Ottanta con la parabola Lunga vita alla signora! (Leone d'Argento) e con La leggenda del Santo bevitore, Leone d'Oro a Venezia, tratto dal romanzo di Joseph Roth che il critico e amico Tullio Kezich (poi suo co-sceneggiatore nel film) gli ha fatto conoscere. Per questo film Olmi si avvale di attori professionisti come Rutger Hauer e Anthony Quayle; replicherà l'esperienza cinque anni dopo, dirigendo Paolo Villaggio nel Segreto del bosco vecchio, dal romanzo di Dino Buzzati.

Dal 2000 in avanti la filmografia olmiana inanella titoli di assoluta originalità. Intanto l'eccezionale Il mestiere delle armi, opera di respiro rosselliniano sugli ultimi giorni della vita di Giovanni dalle Bande Nere; poi Cantando dietro i paraventi, fiaba pacifista in costume interpretata da Bud Spencer assieme a un cast di attori orientali. Del 2007 è la parabola cristologica Centochiodi, che Olmi dichiara essere il suo ultimo film narrativo prima di dedicarsi esclusivamente al documentario. In realtà dirigerà ancora storie di fiction, col Villaggio di cartone e col dolente, bellissimo Torneranno i prati (2014), ambientato nelle trincee dell'altopiano di Asiago durante la prima guerra mondiale.




Titolare di Leone d'Oro alla carriera e di una quantità di altri premi italiani e internazionali, Olmi è anche l'autore di alcuni libri: il più noto è Ragazzo della Bovisa, ma il titolo più bello resta L'Apocalisse è un lieto fine. Storia della mia vita e del nostro futuro (Rizzoli).




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