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giovedì 7 gennaio 2016

Sante Notarnicola e l' Evasione Impossibile



I detenuti comuni, gli sbandati, i ribelli senza speranza, 
noi ve li ritorneremo con una coscienza rivoluzionaria. 
Questo è il mio impegno, questo è il vostro errore.

Dichiarazione di Sante Notarnicola  al  processo d’appello.   Milano, dicembre 1971.

Voglio usare brevemente del diritto alla parola, per chiarire il mio atteggiamento, non solo quello precedente al mio arresto, ma anche quello attuale nel carcere e in  quest’aula.  Anzitutto dichiaro sinceramente che non mi toccano né la condanna che mi darete né la descrizione che è stata fatta di me in questo luogo e altrove. Entrambe riflettono il modo di pensare e di giudicare, proprio della mentalità della classe dominante. Questa vede in me un suo nemico, e non può darmi né comprensione né giustizia che io non chiedo. Essa colpisce me attribuendomi quella criminalità, quella violenza, quella avidità che sono le sue stesse caratteristiche. Mi si indica come esempio del Male, mentre io non sono altro che un prodotto di questa società borghese corrotta e malvagia.

Questa società che pone come unica alternativa lo sfruttamento legalizzato: il carcere. Se io sono un criminale, e lo nego apertamente, sono esattamente quale voi mi avete fatto. La criminalità è roba vostra! Essa è prodotta e riprodotta continuamente, inevitabilmente, deliberatamente, dalla società classista, nell’interesse delle classi dominanti. La criminalità consiste nella egoistica ricerca del profitto e del successo ad ogni costo, nella sopraffazione dei deboli, nello sfruttamento, e tutto ciò è roba vostra. Consiste nell’accettare il carcere diventando dei delatori, degli opportunisti, dei ruffiani per ottenere privilegi, concessioni, libertà anticipata, calpestando i compagni di pena, ingannando l’opinione pubblica, con falsi pentimenti, tradendo tutto e tutti e prima ancora se stessi. Io rifiuto tutto questo, anche se questo rifiuto mi costerà caro.

Sappiate anche questo quando mi condannerete. Non sono mai stato un criminale e non lo sono tutt’ora, faccio questa dichiarazione in tutta serenità ben sapendo il danno che me ne verrà, le difficoltà che dovrò superare e la repressione che essa mi scatenerà contro da parte dell’apparato punitivo. Questo mio atteggiamento è coerente a tutto il mio passato sino a questo istante e per coerenza alla mia scelta iniziale, che è quella della rivolta contro il sistema borghese, io debbo avvertirvi che nonostante tutta la  buona volontà della istituzione carceraria, ogni tipo di trattamento rieducativo non riuscirà a fare di me quello che si propone di fare per ogni detenuto: distruggere ogni dignità, ogni coscienza, ogni qualità, sino alla totale repressione psicologica, quella del criminale borghese. Sarò sempre, e stavolta nel modo migliore, più giusto, più difficile, un comunista, un rivoluzionario. E per la logica repressiva inevitabilmente 
dovrò pagare sino in fondo per questa mia decisione.

Vi chiedo l’ergastolo, non per i morti che non ho ucciso, non per i reati in se stessi, ma perché io sono vostro nemico, perché io sono vostro prigioniero, perché voi  rappresentate il sistema capitalistico che è nemico mortale del genere umano, e perché al nemico vincitore non si chiede giustizia o pietà, ma si continua a combatterlo anche dal fondo delle sue putrescenti galere. Non sono qui per chiedere attenuanti, sono  venuto davanti a voi, ma non per il motivo che spinge il detenuto comune a presenziare ai processi: difendersi cioè sul piano giuridico per attenuare la condanna. Sono venuto per criticare il mio passato dove esso è da criticare, in modo rivoluzionario, da un punto di vista rivoluzionario. So che parte della opinione pubblica mi è ostile, ma ciò non mi riguarda; è quella parte del pubblico che ha totalmente assorbito la mentalità della classe dominante. Non ad essa mi rivolgo, ma alle forze sinceramente proletarie e rivoluzionarie. Solo rispetto ai valori che queste rappresentano, il mio passato può essere autocriticato e condannato. Se io ho rapinato banche, se sono morti degli uomini, non per mano o volontà mia, non è certamente davanti a una classe che si fonda sulla rapina, sulla frode, sulla violenza più sanguinosa che debbo giustificarmi. Ho davanti a me una polizia assassina, ho davanti a me una legge fascista. Ho sbagliato. È innegabile. Come è innegabile il rammarico che provo per i morti, vittime ignare di una lotta continua e inarrestabile che non certamente noi, piccoli uomini sfruttati, abbiamo voluto. Ma il mio rammarico più forte è per quei vivi che non capiscono o non vogliono capire il significato più vero e profondo della nostra rivolta. Questo è l’aspetto più tragico di tutta questa storia. Non chiedo a questi operai, alle masse non politicamente preparate di giustificarmi, ma solo di capire. Di capire che la nostra è stata solo una risposta ad una situazione di vita intollerabile per la dignità umana e che il responsabile di questa situazione è il sistema borghese, è questo il nemico, il provocatore del crimine, la causa di ogni violenza e di ingiustizia. Quei lavoratori, quegli sfruttati che sono contro di noi, non comprendono, ed è la loro tragedia, che lo sfruttamento, la miseria, la violenza, il crimine, l’oppressione, non sono opera nostra ma il risultato inevitabile di un sistema ingiusto, fondato sulla divisione tra gli uomini. Ora, quando noi, un piccolo gruppo, ci ribelliamo a questo stato di cose, anche se la nostra è una ribellione soggettiva individualistica, siamo sempre dalla parte giusta, nonostante gli errori del metodo. Siamo sempre dalla parte delle classi sfruttate, degli oppressi, dei poveri: il nostro unico rimpianto è quello di non aver saputo e potuto mirare in alto e di esserci limitati a un solo tipo di attività. Tuttavia abbiamo avuto il merito di mettere in seria crisi gran parte dell’apparato poliziesco, difensore degli interessi borghesi, dimostrandone l’ottusità, ’incapacità, la ferocia, la funzione esclusivamente antioperaia. Questo l’aspetto positivo della nostra azione, quell’aspetto che ci pone concretamente, realmente, fuori da ogni compromesso con il mondo borghese. Ciò nonostante abbiamo sbagliato, perché non siamo riusciti a creare nuclei di guerriglia organizzata che nei cupi anni ’60 avrebbero potuto scuotere la classe operaia da una situazione di confusione e di inerzia.

Purtroppo oltre ai nostri errori c’è stata pure una somma di circostanze avverse: se avessimo avuto maggior tempo a nostra disposizione saremmo riusciti ad agire, con più vastità ed efficacia. Nel venire a contatto con il mondo carcerario, con la sua quantità di orrori e di violenze e nel rivedere criticamente gli errori compiuti e nel conoscere da vicino la lotta eroica dei detenuti politici, ho potuto crescere, maturare, arricchire la mia coscienza rivoluzionaria. Ciò mi rende sereno nel cammino verso l’ergastolo. Voi cercherete di farci morire in galera, delegando gli uomini dell’apparato ad accelerare le cose.

Ce ne andiamo con il rimpianto di non aver fatto ciò che dovevamo fare, di aver sciupatol’unica occasione della nostra vita. Ma siamo sereni. Altri verranno, migliori di noi, fatti esperti dei nostri errori, a raccogliere l’aspetto positivo della nostra esperienza. La lotta contro di voi continua, fuori e dentro il carcere! Voi continuerete a imprigionare tutti coloro che vi danno fastidio o sono un pericolo per il vostro disordine costituito. Voi getterete in carcere i pacifisti, gli obiettori di coscienza, noi li aiuteremo a superare le asprezze e le privazioni di questa vita e di questo ambiente. I detenuti comuni, gli sbandati, i ribelli senza speranza, noi ve li ritorneremo con una coscienza rivoluzionaria. Questo è il mio impegno, questo è il vostro errore. Voi credete di aver vinto e invece, anche con me, avete già perso la battaglia. Voi condannerete me con spietata durezza, come condannerete chiunque si ribella alla vostra oppressione. Ma verrà il giorno in cui io, 
insieme al popolo, sarò un vostro accusatore!

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