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domenica 22 aprile 2012

Sindiwe Magona è una scrittrice sudafricana



 Sindiwe Magona (Transkei, 1943) è una scrittrice sudafricana.


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Nata nel 1943 nel Transkei, una zona rurale del Sudafrica, e cresciuta in una baraccopoli nei pressi di Città del Capo, Gungululu, Sindiwe Magona passa la sua infanzia con i nonni materni, senza praticamente mai vedere il padre, che fa l'operaio in città e va a trovare la sua famiglia raramente, come del resto spesso accade in quegli anni al sottoproletariato nero. La bambina passa lunghe serate in circolo con amici e parenti ad ascoltare la nonna che racconta iintsomi, le fiabe del popolo amaxhosa, o giocando a contare le scintille nel focolare immaginando che siano tante quanti abayemi (i mediatori che girano di villaggio in villaggio chiedendo la mano delle ragazze) un giorno si presenteranno alla porta. A soli 5 anni Sindiwe si trasferisce con la madre a Città del Capo per raggiungere il padre, e qui - mentre le leggi del governo razzista si fanno sempre più oppressive, sempre più liberticide, sempre più ottuse - impara a conoscere i morsi della povertà, le piaghe dell'arretratezza, le irruzioni continue della polizia in cerca di alcolici (vietato bere alcol per i neri sudafricani!), i giocattoli o i fumetti scartati dalle famiglie bianche dati in elemosina, le ferite della discriminazione sessuale, l'orrore dell'apartheid. Gli anni passano, arrivano tre figli e un rapporto disgraziato con gli uomini, ma ci vuole ben altro per fiaccare una donna come Sindiwe: senza disporre di una residenza fissa, lavorando come domestica, dovendo occuparsi da single dei tre figli la Magona emigra in Inghilterra, studia per corrispondenza e si laurea all’Università del Sud Africa, per svolgere poi un master in Scienze dell’Organizzazione Sociale del Lavoro presso la Columbia University. L’impegno politico della Magona viene finalmente riconosciuto nel 1976, quando è chiamata a Bruxelles a far parte del Tribunale Internazionale per i crimini contro le donne, e nel 1977, quando è fra le dieci finaliste per il Woman of the Year Award. Viene assunta come bibliotecaria alle Nazioni Unite a New York, e nel 1993 l’Hartwick College le assegna un dottorato in Human Letters e nel 1997 viene accolta nella Foundation of Arts Fellow nella categoria non-fiction. Da qualche anno ha lasciato New York per tornare alla sua Città del Capo, e oggi è responsabile di una organizzazione non governativa che si occupa di donne e, nelle township, provvede a programmi di istruzione, assistenza familiare e sanitaria, diffondendo e preservando la cultura e la lingua xhosa: "Anche se per ragioni commerciali i miei romanzi sono scritti in inglese, lo xhosa - seconda lingua del Sudafrica dopo lo zulu - è sempre presente nei miei libri, nel ritmo, nelle parole. Questa è la lingua con cui ho cresciuto i miei figli e se non la valorizziamo rischia di sparire".
In Italia è stata la vincitrice del Premio Grinzane Terra d'Otranto 2007 sezione letteraria.

"Nessuno capisce il trauma di essere neri. Tutti noi, come dimostra Michael Jackson, vorremmo diventare bianchi. Ha presente come sono lisci i capelli di Condoleeza Rice? Solo una matta come me va in giro con questi capelli crespi".

Sindiwe ha la grinta pazzesca e la consapevolezza di chi è cresciuto in uno slum sudafricano tra difficoltà che nemmeno riusciamo a immaginare e ha saputo costruirsi una vita da madre, scrittrice, intellettuale impegnata a favore dei diritti del suo popolo e delle donne di tutto il mondo.
Nel suo libro "Questo è il mio corpo!" la scrittrice affronta la dura realtà delle malattie trasmissibili per via sessuale, in primi l'AIDS. A tal proposito dice: "L'AIDS si può prevenire. Il diritto umano più sacro è il diritto alla vita. L'amore è grande, il sesso può essere grandioso, ma la vita è la cosa più importante di tutte. Spero che le donne nere inizino a parlare tra loro anche di cose intime, che prendano in mano la loro vita. La diffusione dell’AIDS è una responsabilità individuale. Lo slogan deve essere: Niente test? Niente sesso." e continua con un atto di accusa terribile: "In Africa abbiamo un esempio virtuoso di lotta alla diffusione dell'AIDS: l'Uganda. E so anche che l'Uganda è una nazione più povera del mio Sudafrica. Qualunque cosa abbiano fatto o stiano facendo in Sudafrica in questo senso non è abbastanza, punto. Del resto se da noi il numero dei morti è così spaventosamente alto, vorrà pur dire che qualcosa non va nelle strategie del Governo o no? Se l'epidemia ci avesse colpito durante l'apartheid non ci sarebbero state ambiguità, l'assistenza medica sarebbe stata riservata ai bianchi, ma il mondo non avrebbe tollerato questa ambivalenza, l'avrebbe chiamata col suo nome: genocidio. Ora se i cittadini bianchi criticano i politici neri li si taccia di razzismo, se i cittadini neri criticano i politici neri li si taccia di antipatriottismo o autolesionismo. [..] Dove c’è una povertà come quella del Sudafrica abbassare il prezzo dei farmaci antiretrovirali non è sufficiente: il test dovrebbe essere gratuito e svolto in segretezza, in certe aree è impossibile garantire il segreto e infatti la gente non fa il test. Quelli che hanno i mezzi e i soldi per farlo si spostano lontano dai luoghi nei quali vivono, molti uomini così fanno terapie antiretrovirali lasciando dietro di loro le donne con le quali hanno avuto rapporti sessuali. Quindi esistono grandi responsabilità, è vero, ma il problema nasce nella casa di ognuno di noi: indipendentemente da ciò che fanno le istituzioni devidecidere tu se vuoi vivere o no. Spesso non è facile, soprattutto per le donne, ma è necessario."
Altro punto importantissimo della lotta della Magona è il ruolo delle donne in Sudafrica e delle violenze che esse subiscono: "La violenza ha vari aspetti: si nasconde a volte dentro l’amore o dentro la famiglia e la genete si rifiuta di vederla. Scelte anche innocenti come il nome dei bambini sono frutto di imposizioni, di arretratezza maschilista. Cose molto gravi accadono e molti le giudicano accettabili: quando ero piccola io, avere un figlio fuori dalla coppia rappresentava un terribile scandalo, adesso la media di figli illegittimi di un sudafricano di 40 anni è tra i 6 e i 7! E’ diventato raro il contrario, è diventato accettabile. Questo vuol dire abusare del corpo delle donne ed è terribile per i bambini. Un padre part-time non serve a niente, un padre serve averlo tutti i giorni. Vogliamo che le donne sappiano, che le donne capiscano: non è una disgrazia non avere un uomo. Non è una vergogna stare da sole. Nella cultura africana una donna senza uomo è vista come mancante di qualcosa, invece non è meno donna delle altre. Meglio vivere sole che morte con un uomo. Mostratemi la tomba di una donna uccisa da un vibratore."

(tratto liberamente dall'intervista di David Frati a Sindiwe Magona su mangialibri.com)





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