al Salone del libro c’è anche un polmone   sano, che mette in circolo idee
Tra le miserie della politica affamata di palcoscenico, i postulanti e  i  figuranti, le polemiche sugli elenchi tanto in voga, gli annunci   trionfali (per esempio, quelli su una mostra costata 700 mila euro   andata pressoché deserta), al Salone del libro c’è anche un polmone   sano, che mette in circolo idee dee. È  
Bookstock Village il posto delle fragole dei moltissimi ragazzi che sono passati per il Lingotto.
 Andrea Bajani,  scrittore einaudiano, ha deciso che quest’anno  non avrebbe presentato  libri “suppostamente per ragazzi”. Ha formato un  gruppo di lavoro con  16 studenti tra i 15 e 18 anni delle scuole  superiori torinesi – dai   licei agli istituti tecnici – e li ha fatti  parlare per tre mesi.   Scopo del “laboratorio di coscienza” era  individuare 15 parole chiave  che 
identificano il nostro tempo su cui poi confrontarsi al Salone con autori, giornalisti, artisti.
Ce n’è una che attira immediatamente l’attenzione: “
Poverini”. Ma a chi si riferisce?  “
Dovessi scrivere  un saggio sugli italiani, sarebbe un saggio sul poverinismo”,   spiega Bajani. E racconta che la scelta nasce da un’analisi dei vizi   degli italiani. Le loro (anzi, le nostre) posture sono il vittimismo, la   lagna, il paternalismo. Dicono i ragazzi: ci indigniamo per  i gommoni   carichi di dolore che sbarcano sulle spiagge di una ipotetica salvezza  e  poi quel dolore lo andiamo a bombardare.
Poi c’è “
pantano”  e l’ha trovata Giorgia, 15 anni:  attorno al mondo degli adolescenti  tutto è immobile, “non riusciamo a  muoverci”. C’è un filo conduttore  che lega queste sensazioni cupe e  incerte e ha portato ad altre voci:  “Impedimento”, “svolta”,  “resistenza”. Si fanno molte chiacchiere, su  molti temi, 
ma poi non succede nulla.  Come se un gas  immobilizzante ci imprigionasse. Andando a cercare la  parola “svolta”,  gli studenti hanno guardato dentro i vuoti e le  occasioni mancate della  storia patria come Tangentopoli, che   scoperchiando  il vaso di  Pandora avrebbe dovuto restituirci un Paese  migliore. Invece è stato  l’opposto.
L’orizzonte dei ragazzi è fosco: “Mi viene in  mente”, continua Bajani,  “Joseph Conrad che nella ‘Linea d’ombra’  affida il comando di una nave a  un ragazzo. Chi lo farebbe oggi?”. Ed è  vero, ormai due generazioni  sono al palo e non riescono a stringere  alleanze, a elaborare   strategie: quando sarà il loro (il nostro)  turno, saranno vecchi,  soprattutto, già superati.
“Relativo” invece nasce dalla constatazione lucida di un fatto: non esiste nessuna verità. Quel che si dice un giorno viene 
smentito nel giro di 24 ore  e i punti di riferimento vanno a farsi benedire.  Però, oltre   l’inquietudine di un presente fangoso e inconcludente, c’è lo sguardo   che l’età degli studenti del Bookstock rischiara. Perché  ci sono anche   parole come “resistenza”, “rivoluzione”, “fiducia”. “Rivoluzione” è   l’ultimo lascito di un grande vecchio,  
Mario Monicelli,   ce l’ha affidato  prima di chiudere la porta. Ed è un’eredità,   evidentemente, raccolta. Resistere a cosa? Alla fatica quotidiana: sono i   primi che hanno genitori i cui lavori cominciano a vacillare.  Poi c’è   “femminile”: un aggettivo che divide ancora, maschi e femmine, nella   percezione delle discriminazioni. E “bellezza”: “È ciò che ha più unito,   commosso, coinvolto. Tutte le volte che spedivo ai ragazzi una poesia,   sentivo la loro partecipazione”.
Tra alcune sorprendenti  parole condivise, ce ne sono altre che  “avrebbero bisogno di un  percorso di riabilitazione”. Una per tutti:  “Politica”. Fino a non  molto tempo fa era il passepartout per “cambiare  il mondo”. Oggi è un  insulto.
Il Fatto Quotidiano, 15 maggio 2011
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