Ecco perché Fu Condannato
CRAXI ad HAMMAMET era LATITANTE Non era in ESILIO
#Craxi è stato l'Origine indubbia dello Schifo che ci Circonda...
Nel 17esimo anniversario della morte del segretario Psi, da latitante in
Tunisia, si allarga la schiera di chi punta alla riabilitazione o,
quantomeno, a "riaprire la discussione". Da Alfano a Orlando a Sala. Dal
libro "Mani pulite" di Barbacetto, Gomez e Travaglio, ecco gli elementi
principali che hanno portato a una delle due sentenze definitive di
colpevolezza, quella per le tangenti della metropolitana milanese:
"Sette-otto miliardi finiti direttamente a lui"
Il ministro degli Esteri Angelino Alfano è volato ad Hammamet per
ricordare il diciassettesimo anniversario della morte di Bettino Craxi.
Il ministro della giustizia Andrea Orlando si dice favorevole a
“riaprire la discussione” sulla una “figura importante della sinistra”,
pur ammettendone “gli errori”. E il sindaco di Milano Giuseppe Sala,
eletto nel centrosinistra, apre alla possibilità di intitolargli una
via, che potrebbe essere discussa già lunedì 23 gennaio in consiglio
comunale. Proprio mentre si susseguono inchieste e processi per piccole
e grandi corruzioni, mentre il numero uno dell’autorità anti-tangenti
Raffaele Cantone gira l’Italia per esortare una “rivoluzione culturale”
contro il malaffare, mentre si moltiplicano gli studi e i rapporti
internazionali su danni e distorsioni inflitti al sistema economico e
politico, si allarga la schiera di chi persegue la riabilitazione del
segretario del Partito socialista italiano morto da latitante in Tunisia
il 19 gennaio 2000.
In quel momento, uno dei politici simbolo della prima repubblica aveva
collezionato due condanne definitive per 10 anni di reclusione (5 anni e
6 mesi per la corruzione dell’Eni-Sai e 4 anni e 6 mesi per i
finanziamenti illeciti della Metropolitana milanese), più altre condanne
provvisorie, in primo e in secondo grado, per circa quindici anni (3
anni in appello per Enimont, 5 anni e 5 mesi in Tribunale per Enel, 5
anni e 9 mesi annullati con rinvio dalla Cassazione per la bancarotta
del Conto protezione); e poi due assoluzioni (Cariplo e, a Roma,
Intermetro) e una prescrizione (in appello per All Iberian). Non basta.
L’allora segretario del Psi e già presidente del consiglio aveva
ricevuto tre ordinanze di custodia cautelare, i cui procedimenti al
momento della morte non erano stati definiti: Enel, fondi neri Eni e
fondi neri Montedison.
In questa corsa alla riabilitazione, è utile ricordare i fatti specifici
contestati allora a Craxi dai pm di Mani pulite e poi confermati in via
definitiva in Cassazione. Sul fronte dei finanziamenti illeciti della
Metropolitana milanese, ecco la ricostruzione della vicenda attraverso
le parole di Silvano Larini, architetto e reo confesso collettore di
mazzette per conto del segretario Psi, che il 7 febbraio 1993 mette fine
alla sua latitanza e si consegna alle autorità italiane, diventando così
un pilastro dell’accusa al leader Psi.
Quello che segue è un estratto del libro Mani pulite, la vera storia, di
Gianni Barbacetto, Peter Gomez e Marco Travaglio (Editori riuniti 2002).
BETTINO CRAXI, LE TANGENTI MM E LE VALIGETTE DI SOLDI IN PIAZZA DUOMO
Il 7 febbraio, accompagnato dall’avvocato Bovio, Larini si consegna a Di
Pietro, che con il capitano Zuliani lo aspetta alla frontiera
autostradale di Ventimiglia. Dopo uno spuntino in un ristorante-
pizzeria, viene accompagnato a Milano, nel carcere di Opera. Vi
trascorrerà quattro giorni, riempiendo decine di pagine di verbali.
L’architetto ammette le sue responsabilità. E racconta il suo ruolo di
«fattorino delle tangenti» che sgorgavano dal sistema della
metropolitana milanese:
Dovevo ricevere il denaro che Carnevale o Prada mi consegnavano e
portarlo all’onorevole Craxi. Infatti, a partire dal 1987 e fino alla
primavera del 1991, ho avuto modo di ricevere dai predetti 7 o 8
miliardi complessivamente e ogni volta (salvo in un paio d’occasioni in
cui li ho consegnati direttamente a Natali) li ho portati negli uffici
dell’onorevole Craxi di piazza Duomo 19, a Milano, depositandoli nella
stanza a fianco della sua […]. Posavo la borsa o il plico sul tavolo e
la Enza [Tomaselli, la segretaria di Craxi] lo ritirava. Non le ho mai
detto nulla, alla consegna, perché era assolutamente scontato di che
cosa si trattasse […]. Ho raccolto 7-8 miliardi di tangenti sulla
Metropolitana e in buona parte sono finiti personalmente a Craxi.
Portavo i soldi al quarto piano di piazza Duomo 19. Ero io a
confezionare il pacchetto, utilizzando buste marroncine. A volta le
posavo sul tavolo della segretaria, a volte le lasciavo sul tavolo della
camera di riposo di Bettino.
Fino al 1987 – ricorda – al finanziamento occulto pensava direttamente
il presidente della Metropolitana milanese, Antonio Natali. Poi si pose
il problema di sostituirlo. «Motivi di opportunità – spiega Larini ai
magistrati – sconsigliavano al Psi di riproporlo, in quanto egli era
stato inquisito dall’autorità giudiziaria di Milano per fatti di
concussione. Natali fu eletto senatore e in tal modo fu “salvato” da un
procedimento penale». Craxi e Natali offrirono a Larini la carica di
presidente
della Mm, che però rifiutò. «La scelta cadde allora su Claudio Dini»,
l’architetto che aveva lavorato nello studio di Ignazio Gardella, ma
che, a quanto racconta Larini, non era considerato affidabile per la
gestione delle tangenti:
Natali non aveva molta confidenza con lui e lo considerava un po’
bizzarro e pericoloso per il sistema, dal punto di vista di riscossione
del denaro. Mi spiego. Natali mi disse che da tempo le imprese operanti
nella metropolitana erano solite versare del denaro al sistema dei
partiti e in particolare alla Dc, al Psi, al Pri, al Pci e al Psdi.
Questo denaro veniva utilizzato in quegli anni dal Psi per il
sostentamento della federazione milanese, ma anche per la cassa
nazionale del Psi, all’occorrenza. Infatti ricordo che Balzamo in
un’occasione mi diede atto che era a lui pervenuta una parte del denaro
proveniente dalle contribuzioni degli imprenditori milanesi, dicendomi:
«Meno male che sono arrivati i soldi di Milano, perché altrimenti non
potevamo pagare gli stipendi».
Cosí Natali chiese che fosse Larini a occuparsi delle tangenti, al posto
del «bizzarro» Dini: «Mi pregò di essere io la persona che riceveva per
conto del Psi il denaro proveniente dalle imprese operanti negli appalti
della Mm. Natali mi spiegò che alla materiale raccolta del denaro nei
confronti degli imprenditori provvedevano Prada Maurizio [Dc] e
Carnevale Mijno Luigi [Pci]». Ricevuto l’incarico da
Natali, Larini si rivolse direttamente all’amico segretario del Psi:
Chiesi informazioni all’onorevole Bettino Craxi su come comportarmi e
costui mi disse: «Va bene, occupatene». In altri termini, fu lo stesso
Craxi a confermarmi l’incarico di provvedere a raccogliere il denaro
proveniente dalla Mm. […] Tutto ciò che prendevo lo portavo sempre
nell’ufficio dell’onorevole Craxi e non trattenevo nulla per me. Era un
servizio che io rendevo a Craxi per amicizia e per comune militanza
politica.
Non tutti, fa capire Larini, erano cosí disinteressati e corretti, e
comunque sul giro delle tangenti aleggiava sempre il sospetto che
qualcuno ne approfittasse:
Un giorno fui chiamato da Craxi il quale mi disse che Balzamo gli aveva
fatto presente che l’onorevole Citaristi, segretario amministrativo
della Dc, aveva disposto un’indagine interna nei confronti di Prada,
perché sospettava che non tutto il denaro finisse nelle casse della Dc.
Anche l’onorevole Craxi, verso la fine del 1989-inizio 1990, mi disse
che pure lui aveva saputo che in giro si diceva che le imprese pagavano
il 20 per cento del valore degli appalti, e che quindi io venivo
«imbrogliato» da Prada e Carnevale. Io spiegai che era impossibile che
le imprese pagassero una percentuale del genere, perché si sarebbero
poste del tutto fuori mercato […]. In tale occasione pregai l’onorevole
Craxi di sollevarmi da un incarico così scomodo; egli mi disse: «Va
bene». E, seppure con un anno di ritardo, alla fine mi sostituì con
l’onorevole Oreste Lodigiani [cioè con il segretario amministrativo
milanese del Psi].
Larini, dunque, svela anche una parte dei veleni che intossicano i
circuiti sotterranei di Tangentopoli: poiché la raccolta era illegale,
sui «cassieri» non era possibile alcuna forma di controllo legale. Cosí
tra i protagonisti del sistema regnavano la sfiducia e il sospetto che
qualcuno approfittasse della situazione, facendo la «cresta» per sé.
Cosa che, in diversi casi, è stata anche giudiziariamente accertata. […]
Quello stesso 17 dicembre [1993, al processo contro Sergio Cusani per la
maxitangente Enimont], subito dopo Forlani, tocca anche a Bettino Craxi.
Ma il suo interrogatorio è tutto un altro film. Un Di Pietro
insolitamente calmo e remissivo gli pone la fatidica domanda, se fosse
al corrente del finanziamento illegale ai partiti. Craxi si concede una
delle sue lunghe pause. Poi spiega: «Né la Montedison, né il gruppo
Ferruzzi, né il dottor Sama, né altri, né direttamente, né per
interposta persona, a me personalmente hanno mai dato una lira.
Diversamente, sia il gruppo Ferruzzi, sia la Montedison hanno versato
contributi all’amministrazione del partito: da quando, non saprei, ma
certamente da molti anni e fino alle elezioni del 1992». Poi, però, ecco
una confessione in piena regola: «Ero comunque al corrente della natura
non regolare dei finanziamenti ai partiti e al mio partito. L’ho
cominciato a capire da quando portavo i pantaloni alla zuava!».
Di Pietro sorride, raggiante: «C’è qualcuno che, prima di lei, questa
mattina, l’ha saputo solo qualche giorno fa». Una piccola rivincita su
Forlani. Craxi non solo ammette, ma consegna anche dei documenti. E a un
certo punto, con calcolata suspence, estrae di tasca un bigliettino e
sibila: «Dopo la morte di Vincenzo Balzamo, venne fuori questo foglietto
scritto a mano, in cui lui aveva fatto un appunto che si riferiva a un
quinquennio, con le entrate provenienti da società ed enti. Lui scrive
che in quattro anni ha raccolto qualcosa come 186 miliardi. Circa 50
miliardi all’anno». Ovviamente non registrati, quindi fuorilegge. Ecco
perché Di Pietro è cosí pacato. Ecco perché non incalza: Craxi, con la
sua brutale franchezza, si è messo in trappola da solo. Migliore
conferma alle accuse non ci poteva essere. Chi si aspettava uno scontro
al calor bianco rimane deluso. […]
Craxi, in seguito, fuori da un’aula di giustizia, racconterà a Bruno
Vespa (nel libro Il duello) che per fare politica poteva contare sugli
aiuti di tanti amici. «Nel senso che venivano da te e ti chiedevano di
quanto avevi bisogno?», gli domanda Vespa. «Ci mancherebbe altro –
risponde Craxi. – Non si permettevano. Facevano la fila come si fa dal
dentista. Passavano dalla segretaria…».
Tratto da Mani pulite, la vera storia, di Gianni Barbacetto, Peter Gomez
e Marco Travaglio (Editori riuniti 2002)
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